Come il lattante in braccio a chi lo nutre
Note storico-liturgiche sul rito dell'Eucaristia
di Mons. ATHANASTUS SCHNEIDER
Vescovo ausiliare di Karaganda - Kazakhstan
Note storico-liturgiche sul rito dell'Eucaristia
di Mons. ATHANASTUS SCHNEIDER
Vescovo ausiliare di Karaganda - Kazakhstan
Giovanni
Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha lasciato alla
Chiesa un'ammonizione ardente che suona come un vero testamento: «Dobbiamo
badare con ogni premura a non attenuare alcuna dimensione o esigenza
dell'Eucaristia. Così ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di
questo dono (...) Non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero!»
(n. 61). La consapevolezza della grandezza del mistero eucaristico si mostra in
modo particolare nella maniera con cui è distribuito e ricevuto il Corpo del
Signore.
Consapevole della grandezza del momento della sacra Comunione,la Chiesa nella sua
bimillenaria tradizione ha cercato di trovare un'espressione rituale che
potesse testimoniare nel modo più perfetto possibile la sua fede; il suo amore
e il suo rispetto. Questo si è verificato, quando nella scia d'uno sviluppo
organico, a partire almeno dal sesto secolo, la Chiesa cominciò ad adottare
la modalitàdi distribuire le sacre specie eucaristiche direttamente in bocca.
Così testimoniano: la biografia di Papa Gregorio Magno e un'indicazione dello
stesso Gregorio relativa a Papa Agapito (Dialoghi, Il sinodo di Cordoba
dell'anno 839 condannò la setta dei cosiddetti «casiani» a causa del loro
rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca. Poi il sinodo di
Rouen nell'anno 878 ribadì la norma vigente della distribuzione del Corpo del
Signore sulla lingua, minacciando i ministri sacri della sospensione dal loro
ufficio, se avessero distribuito ai laici la sacra Comunione sulla mano.
In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il corpo del Signore si osserva negli ambienti monastici già a partire dal sesto secolo, per esempio nei monasteri di san Colombano. Più tardi - nel decimo e nell'undicesimo secolo - questo gesto si è diffuso maggiormente. Alla fine dell'età patristica la prassi di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca divenne quindi una prassi ormai diffusa e quasi universale.
Questo sviluppo organico si può considerare come un frutto della spiritualità e della devozione eucaristica del tempo dei Padri della Chiesa. Già nel primo millennio, a causa del carattere altamente sacro del Pane eucaristico,la Chiesa sia in Occidente sia
in Oriente in un ammirevole consenso e quasi istintivamente ha percepito
l'urgenza di ,distribuire la sacra Comunione ai laici solamente in bocca. Il
liturgista Josef Andreas Jungmann spiegava che, a causa della distribuzione
della Comunione direttamente in bocca, si eliminarono varie preoccupazioni:
quella che i fedeli debbano avere pulite le mani, la preoccupazione ancora più
grave che nessun frammento del Pane consacrato si perda, la necessità di
purificare la palma della mano dopo la ricezione del sacramento. La tovaglia e,
più tardi, il piattino per la
Comunione saranno l'espressione di accresciuta attenzione
riguardo al sacramento eucaristico.
Papa Giovanni Paolo II così insegna nell'Ecclesia de Eucharistia: «Sull'onda di questo elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l'istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne»(n. 49). L'atteggiamento più consono a questo dono è l'atteggiamento della ricettività, l'atteggiamento d'umiltà del centurione, l'atteggiamento di lasciarsi nutrire, appunto l'atteggiamento del bambino. La parola di Cristo, che ci invita ad accogliere il regno di Dio come un bambino (cfr Luca, 18, 17), può trovare la sua illustrazione in modo assai suggestivo e bello anche nel gesto di ricevere il Pane eucaristico direttamente in bocca ed in ginocchio. Giovanni Paolo II metteva in evidenza la necessità di espressioni esterne di rispettò verso il pane eucaristico: «Se la logica del "convito" ispira familiarità,la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di
banalizzare questa "dimestichezza" col suo Sposo dimenticando che
Egli è anche il suo Signore (...) Il convito eucaristico è davvero convito
"sacro", in cui la semplicità dei segni nasconde l'abisso della
santità di Dio. Il pane che è spezzato sui nostri altari (...) è pane degli
angeli, al quale non ci si può accostare che con l'umiltà del centurione del
Vangelo» (n. 48). L'atteggiamento del bambino è il più vero e profondo atteggiamento
di un cristiano davanti al suo Salvatore, che lo nutre con il suo corpo e il
suo sangue, secondo le seguenti commoventi espressioni di Clemente di
Alessandria: «Il Lògos è tutto per il bambino: padre, madre, pedagogo,
nutritore. "Mangiate, dice Lui, la
Mia carne e bevette il Mio sangue!" (...) O incredibile
mistero!»(Paedagogus, I, 42, 3). Un'altra considerazione biblica è fornita dal
racconto della vocazione del profeta Ezechiele. Egli ricevette simbolicamente
la parola di Dio direttamente in bocca: «Apri la bocca e mangia ciò che io ti
do. Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo (...) Io
aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Io lo mangiai e fu per la
mia bocca dolce come il miele» (Ezechiele, 2, 8-9; 3, 2-3). Nella sacra
Comunione riceviamo la Parola ,
fatta carne, fatta cibo per noi piccoli, per noi bambini. Quindi, quando ci
accostiamo alla sacra Comunione, possiamo ricordarci di quel gesto del profeta
Ezechiele. Cristo ci nutre veramente con il Suo corpo e sangue nella sacra
Comunione e ciò è paragonato nell'età patristica all'allattamento materno, come
mostrano queste parole di san Giovanni Crisostomo nelle sue omelie sul vangelo
di Giovanni: «Con questo mistero eucaristico Cristo si unisce ad ogni fedele, e
quelli che ha generato li nutre da sé e non li affida ad un altro. Non vedete
con quanto slancio i neonati accostano le loro labbra al petto della madre?
Ebbene, anche noi accostiamoci con tale ardore a questa sacra mensa e al petto
di questa bevanda spirituale; anzi, con un ardore maggiore di quello dei
lattanti!» (82, 5).
Il gesto più tipico dell'adorazione è quello biblico dell'inginocchiarsi, come lo hanno recepito e praticato i primi cristiani. Per Tertulliano, che visse tra il secondo e il terzo secolo, la più alta forma dell'orazione è l'atto dell'adorazione di Dio, che si deve manifestare anche nel gesto della genuflessione: «Pregano tutti gli angeli, prega ogni creatura, pregano il bestiame e le belve e piegano le ginocchia» (De oratione, 29). Sant'Agostino avvertiva che noi pecchiamo, se non adoriamo il Corpo eucaristico del Signore quando lo riceviamo:«Nessuno mangi quella carne, se prima non l'ha adorata. Pecchiamo se non l'adoriamo»(Enarrationes in Psalmos, 98, 9). In un antico Ordo communionis della tradizione liturgica della Chiesa copta fu stabilito: «Tutti si prostrino a terra, piccoli e grandi e così cominci la distribuzione della Comunione». Secondo le Catechesi Mistagogiche, attribuite a san Cirillo di Gerusalemme, il fedele deve riceverela Comunione con un gesto di adorazione e
venerazione: «Non stendere le mani, ma in un gesto di adorazione e venerazione
accostati al calice del sangue di Cristo»(5, 22). San Giovanni Crisostomo nelle
omelie sulla lettera ai Corinzi esorta coloro che si accostano al corpo
eucaristico del Signore a imitare i Magi dell'Oriente nello spirito e nel gesto
dell'adorazione: «Accostiamoci dunque a Lui con fervore e con ardente carità.
Questo corpo, benché si trovasse in una mangiatoia, lo adorarono gli stessi Magi.
Ora, quegli uomini, senza conoscenza della religione ed essendo barbari,
adorarono il Signore con grande timore e tremore. Ebbene, noi che siamo
cittadini dei cieli, cerchiamo almeno di imitare questi barbari! Tu, a
differenza dei Magi, non vedi semplicemente questo corpo, ma ne hai conosciuto
tutta la sua forza e tutta la sua potenza salvifica. Sproniamo dunque noi
stessi, tremiamo e mostriamo una pietà maggiore di quella dei Magi» (24, 5).
Sullo stretto legame tra l'adorazione e la sacra Comunione Papa Benedetto XVI
nell'esortazione apostolica post-sinodale Sacrarnentum caritatis ha scritto:
«Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso
Colui che riceviamo» (n. 66). Già da cardinale, Ratzinger sottolineava questo
aspetto: «Cibarsene [dell'Eucaristia] (...) è un evento spirituale, che investe
tutta la realtà umana. «Cibarsi» di essa significa adorarla. Per questo
l'adorazione (...) neppure si pone accanto alla Comunione: la «Comunione
raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa
dall'adorazione»(Introduzione allo
spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001, p. 86). Nel
libro dell'Apocalisse, il libro della liturgia celeste, il gesto della
prostrazione, dei ventiquattro anziani davanti all'Agnello può essere il
modello e il criterio di come la
Chiesa in terra debba trattare l'Agnello di Dio quando i
fedeli si avvicinano a lui nel sacramento dell'Eucaristia.
I Padri della Chiesa mostrarono una viva preoccupazione affinché non si perda nemmeno un minimo frammento del Pane eucaristico, come esortava san Cirillo di Gerusalemme in maniera così suggestiva: «Sii vigilante affinché tu non perda niente del corpo del Signore. Se tu lasciassi cadere qualcosa, devi considerarlo come se tu avessi tagliato uno dei membri del tuo proprio corpo. Dimmi, ti prego, se qualcuno ti desse granelli d'oro, tu per caso non li terresti con la massima cautela e diligenza, intento a non perdere niente? Non dovresti tu curare con cautela e vigilanza ancora maggiore, affinché niente e nemmeno una briciola del corpo del Signore possa cadere a terra, perché è di gran lunga più prezioso dell'oro o delle gemme?» (Catechesi mistagogiche, 5, 21). Già Tertulliano testimoniava l'angoscia e il dolore della Chiesa perché non si perda nessun frammento:«Soffriamo angoscia perché nulla dal calice o del pane cada a terra»(De corona, 3). Sant'Efrem - quarto secolo - così insegnava: «Gesù ha riempito il pane di Se stesso e di Spirito e lo ha chiamato il Suo corpo vivo. Ciò che adesso vi ho dato, diceva Gesù, non lo considerate pane, nemmeno calpestate i suoi frammenti. Il minimo frammento di questo pane può santificare milioni di uomini e basta per dare la vita a tutti quelli che lo mangiano»(Sermones in hebdomada sancta, 4, 4). Nella tradizione liturgica della Chiesa copta si trova la seguente avvertenza: «Non c'è nessuna differenza tra le parti maggiori o minori dell'Eucaristia, persino quelle minime che non si possono percepire con l'acutezza della vista; esse meritano la stessa venerazione e possiedono la stessa dignità come il pane intero» (Heinrich Denzinger, Ritus Orientalium, Wiirzburg, 1863, I, p. 405). In alcune liturgie orientali il Pane consacrato è esignato con il nome «perla». Così nelle Collectiones canonum Copticae si dice: «Dio non voglia! Che nulla delle perle o dei frammenti consacrati aderisca alle dita o cada a terra!». L'estrema vigilanza e cura della Chiesa dei primi secoli affinché non si perdesse nessun frammento del Pane eucaristico era un fenomeno universalmente diffuso: Roma (cfr Ippolito, Traditio apostolica, 32), Africa del nord (cfr Tertulliano, De corona, 3, 4), Gallia (cfr Cesario di Arles, Sermo 78, 2), Egitto (cfr Origene, In Exodum hom. 13, 3), Antiochia e Costantinopoli (cfr Giovanni Crisostomo, Ecloga quod non indige accedendum sit ad divina mysteria), Palestina (cfr Girolamo, In Psalmos, 147, 14), Siria (Efrem, In hebdomada sanctam, 4, 4).
Nella Chiesa antica gli uomini prima di ricevere il pane consacrato dovevano lavarsi la palma della mano. Inoltre il fedele s'inclinava profondamente ricevendo il Corpo del Signore con la bocca direttamente dalla palma della mano destra e non dalla mano sinistra. La palma della mano serviva per così dire come patena o come corporale - specialmente per le donne. Così si legge in un sermone di san Cesario di Arles (470.542): «Tutti gli uomini che desiderano comunicarsi, devono lavare le proprie mani. E tutte le donne devono portare un lino, sul quale ricevono il corpo di Cristo» (Sermo, 227, 5). Di solito la palma della mano veniva purificata ossia lavata dopo la ricezione del pane eucaristico come è finora norma nella Comunione del clero nel rito bizantino. Nei vecchi canoni della Chiesa caldea, persino al sacerdote celebrante era vietato di mettere il pane eucaristico nella propria bocca con le dita. Invece doveva prendere il corpo del Signore dalla palma della sua mano; come motivo era indicato che si trattava non di cibo comune, ma di cibo celeste: «Al sacerdote - si legge nel Canone di Ioannes Bar-Abgari - si ordina di ricevere la particella del pane consacrato direttamente dalla palma della sua mano. Non gli sia permesso di metterla con la mano nella bocca, ma deve prenderla con la bocca, poiché si tratta di un cibo celeste».
Nell'antica Chiesa siriaca il rito della distribuzione della Comunione era comparato con la scena della purificazione del profeta Isaia da parte di uno dei serafini. In uno dei suoi sermoni sant'Efrem lascia parlare Cristo con queste espressioni:«Il carbone portato santificò le labbra di Isaia. Sono Io, che, portato adesso a voi per mezzo del pane, vi ho santificato. Le molle che ha visto il profeta e con le quali fu preso il carbone dall'altare, erano la figura di Me nel grande sacramento. Isaia ha visto Me, così come voi vedete Me adesso stendendola Mia
mano destra e portando alle vostre bocche il pane vivo. Le molle sono la Mia mano destra. Io faccio le
veci del serafino. Il carbone è il Mio corpo. Tutti voi siete Isaia» (Sermones
in hebdomada sancta, 4, 5). Nella liturgia di san Giacomo, prima di distribuire
ai fedeli la sacra Comunione, il sacerdote recita questa preghiera: «Il Signore
ci benedica e ci renda degni di prendere con mani immacolate il carbone acceso,
mettendolo nella bocca dei fedeli».
Se ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza (cfr Sacrosanctum concilium, n. 7), lo deve essere soprattutto il rito della sacra Comunione. Giovanni Paolo II insisteva sul fatto che, di-nanzi alla cultura secolarizzata del tempo moderno,la Chiesa
di oggi debba sentire uno speciale dovere riguardo alla sacralità
dell'Eucaristia: «Bisogna ricordarlo sempre, e forse soprattutto nel nostro
tempo, nel quale osserviamo una tendenza a cancellare la distinzione tra sacrum
e profanum, data la generale diffusa tendenza - almeno in certi luoghi - alla dissacrazione
di ogni cosa. In tale realtà la
Chiesa ha il particolare dovere di assicurare e corroborare
il sacrum dell'Eucaristia. Nella nostra società pluralistica, e spesso anche
deliberatamente secolarizzata, la viva fede della comunità cristiana garantisce
a questo sacrum diritto di cittadinanza» (Dominicae cenae, 8). In base
all'esperienza fatta nei primi secoli, alla crescita organica nella
comprensione teologica del mistero eucaristico e al conseguente sviluppo
rituale, il modo di distribuire la
Comunione sulla mano fu limitato alla fine dell'età
patristica 'ad un gruppo qualificato, cioè al clero, come è finora nel caso dei
riti orientali. Ai laici si cominciò pertanto a distribuire il pane eucaristico
- intinto nel vino consacrato nei Riti orientali - direttamente in bocca. Sulla
mano si distribuisce nei Riti orientali soltanto il pane non consacrato, il
cosiddetto antidoron. Così si mostra in maniera evidente anche la differenza
tra Pane eucaristico e pane semplicemente benedetto. La più frequente ammonizione
dei Padri della Chiesa sull'atteggiamento da avere durante la sacra Comunione
suonava così: cum amore ac timore. Lo spirito autentico della devozione
eucaristica dei Padri della Chiesa si sviluppò organicamente alla fine
dell'antichità in tutta la
Chiesa - Oriente e Occidente - nei corrispondenti gesti del
modo di ricevere la sacra Comunione in bocca con la precedente prostrazione a
terra - Oriente - o inginocchiati - Occidente. Non corrisponderebbe
maggiormente all'intima realtà e verità del pane consacrato, se anche oggi il
fedele per riceverlo si prostrasse a terra aprendo la bocca come il profeta che
riceveva la Parola
di Dio (cfr Ezechiele, 2) e lasciandosi nutrire come un bambino - poiché la Comunione è un
allattamento spirituale? Un tale gesto sarebbe anche un impressionante segno
della professione di fede nella presenza reale di Dio in mezzo ai fedeli. Se
sopraggiungesse qualche non credente e osservasse un tale atto di adorazione,
forse anche lui «si prostrerebbe a terra e adorerebbe Dio, proclamando che
veramente Dio è fra voi» (1 Corinzi, 14, 24-25).
Consapevole della grandezza del momento della sacra Comunione,
In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il corpo del Signore si osserva negli ambienti monastici già a partire dal sesto secolo, per esempio nei monasteri di san Colombano. Più tardi - nel decimo e nell'undicesimo secolo - questo gesto si è diffuso maggiormente. Alla fine dell'età patristica la prassi di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca divenne quindi una prassi ormai diffusa e quasi universale.
Questo sviluppo organico si può considerare come un frutto della spiritualità e della devozione eucaristica del tempo dei Padri della Chiesa. Già nel primo millennio, a causa del carattere altamente sacro del Pane eucaristico,
Papa Giovanni Paolo II così insegna nell'Ecclesia de Eucharistia: «Sull'onda di questo elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l'istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne»(n. 49). L'atteggiamento più consono a questo dono è l'atteggiamento della ricettività, l'atteggiamento d'umiltà del centurione, l'atteggiamento di lasciarsi nutrire, appunto l'atteggiamento del bambino. La parola di Cristo, che ci invita ad accogliere il regno di Dio come un bambino (cfr Luca, 18, 17), può trovare la sua illustrazione in modo assai suggestivo e bello anche nel gesto di ricevere il Pane eucaristico direttamente in bocca ed in ginocchio. Giovanni Paolo II metteva in evidenza la necessità di espressioni esterne di rispettò verso il pane eucaristico: «Se la logica del "convito" ispira familiarità,
Il gesto più tipico dell'adorazione è quello biblico dell'inginocchiarsi, come lo hanno recepito e praticato i primi cristiani. Per Tertulliano, che visse tra il secondo e il terzo secolo, la più alta forma dell'orazione è l'atto dell'adorazione di Dio, che si deve manifestare anche nel gesto della genuflessione: «Pregano tutti gli angeli, prega ogni creatura, pregano il bestiame e le belve e piegano le ginocchia» (De oratione, 29). Sant'Agostino avvertiva che noi pecchiamo, se non adoriamo il Corpo eucaristico del Signore quando lo riceviamo:«Nessuno mangi quella carne, se prima non l'ha adorata. Pecchiamo se non l'adoriamo»(Enarrationes in Psalmos, 98, 9). In un antico Ordo communionis della tradizione liturgica della Chiesa copta fu stabilito: «Tutti si prostrino a terra, piccoli e grandi e così cominci la distribuzione della Comunione». Secondo le Catechesi Mistagogiche, attribuite a san Cirillo di Gerusalemme, il fedele deve ricevere
I Padri della Chiesa mostrarono una viva preoccupazione affinché non si perda nemmeno un minimo frammento del Pane eucaristico, come esortava san Cirillo di Gerusalemme in maniera così suggestiva: «Sii vigilante affinché tu non perda niente del corpo del Signore. Se tu lasciassi cadere qualcosa, devi considerarlo come se tu avessi tagliato uno dei membri del tuo proprio corpo. Dimmi, ti prego, se qualcuno ti desse granelli d'oro, tu per caso non li terresti con la massima cautela e diligenza, intento a non perdere niente? Non dovresti tu curare con cautela e vigilanza ancora maggiore, affinché niente e nemmeno una briciola del corpo del Signore possa cadere a terra, perché è di gran lunga più prezioso dell'oro o delle gemme?» (Catechesi mistagogiche, 5, 21). Già Tertulliano testimoniava l'angoscia e il dolore della Chiesa perché non si perda nessun frammento:«Soffriamo angoscia perché nulla dal calice o del pane cada a terra»(De corona, 3). Sant'Efrem - quarto secolo - così insegnava: «Gesù ha riempito il pane di Se stesso e di Spirito e lo ha chiamato il Suo corpo vivo. Ciò che adesso vi ho dato, diceva Gesù, non lo considerate pane, nemmeno calpestate i suoi frammenti. Il minimo frammento di questo pane può santificare milioni di uomini e basta per dare la vita a tutti quelli che lo mangiano»(Sermones in hebdomada sancta, 4, 4). Nella tradizione liturgica della Chiesa copta si trova la seguente avvertenza: «Non c'è nessuna differenza tra le parti maggiori o minori dell'Eucaristia, persino quelle minime che non si possono percepire con l'acutezza della vista; esse meritano la stessa venerazione e possiedono la stessa dignità come il pane intero» (Heinrich Denzinger, Ritus Orientalium, Wiirzburg, 1863, I, p. 405). In alcune liturgie orientali il Pane consacrato è esignato con il nome «perla». Così nelle Collectiones canonum Copticae si dice: «Dio non voglia! Che nulla delle perle o dei frammenti consacrati aderisca alle dita o cada a terra!». L'estrema vigilanza e cura della Chiesa dei primi secoli affinché non si perdesse nessun frammento del Pane eucaristico era un fenomeno universalmente diffuso: Roma (cfr Ippolito, Traditio apostolica, 32), Africa del nord (cfr Tertulliano, De corona, 3, 4), Gallia (cfr Cesario di Arles, Sermo 78, 2), Egitto (cfr Origene, In Exodum hom. 13, 3), Antiochia e Costantinopoli (cfr Giovanni Crisostomo, Ecloga quod non indige accedendum sit ad divina mysteria), Palestina (cfr Girolamo, In Psalmos, 147, 14), Siria (Efrem, In hebdomada sanctam, 4, 4).
Nella Chiesa antica gli uomini prima di ricevere il pane consacrato dovevano lavarsi la palma della mano. Inoltre il fedele s'inclinava profondamente ricevendo il Corpo del Signore con la bocca direttamente dalla palma della mano destra e non dalla mano sinistra. La palma della mano serviva per così dire come patena o come corporale - specialmente per le donne. Così si legge in un sermone di san Cesario di Arles (470.542): «Tutti gli uomini che desiderano comunicarsi, devono lavare le proprie mani. E tutte le donne devono portare un lino, sul quale ricevono il corpo di Cristo» (Sermo, 227, 5). Di solito la palma della mano veniva purificata ossia lavata dopo la ricezione del pane eucaristico come è finora norma nella Comunione del clero nel rito bizantino. Nei vecchi canoni della Chiesa caldea, persino al sacerdote celebrante era vietato di mettere il pane eucaristico nella propria bocca con le dita. Invece doveva prendere il corpo del Signore dalla palma della sua mano; come motivo era indicato che si trattava non di cibo comune, ma di cibo celeste: «Al sacerdote - si legge nel Canone di Ioannes Bar-Abgari - si ordina di ricevere la particella del pane consacrato direttamente dalla palma della sua mano. Non gli sia permesso di metterla con la mano nella bocca, ma deve prenderla con la bocca, poiché si tratta di un cibo celeste».
Nell'antica Chiesa siriaca il rito della distribuzione della Comunione era comparato con la scena della purificazione del profeta Isaia da parte di uno dei serafini. In uno dei suoi sermoni sant'Efrem lascia parlare Cristo con queste espressioni:«Il carbone portato santificò le labbra di Isaia. Sono Io, che, portato adesso a voi per mezzo del pane, vi ho santificato. Le molle che ha visto il profeta e con le quali fu preso il carbone dall'altare, erano la figura di Me nel grande sacramento. Isaia ha visto Me, così come voi vedete Me adesso stendendo
Se ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza (cfr Sacrosanctum concilium, n. 7), lo deve essere soprattutto il rito della sacra Comunione. Giovanni Paolo II insisteva sul fatto che, di-nanzi alla cultura secolarizzata del tempo moderno,
testo
tratto da: L'Osservatore Romano